Criminalità organizzata: azioni e reazioni.
Un viaggio per conoscere.
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Il reato di stampo mafioso è uno degli argomenti trattati nell’ambito dell’ampio e articolato percorso educativo dal titolo “Legalità-illegalità e responsabilità sociale”, scelto dall’insegnante di Diritto ed economia per essere anche il leitmotiv del programma disciplinare delle classi del Liceo scientifico sportivo di Rovereto. Ad esso, tra i diversi progetti realizzati quest’anno all’interno del suddetto percorso, ne è stato riservato uno in specifico, strutturato sull’alternanza d’incontri preparatori in aula e visite esperienziali, teso a richiamare l’attenzione dei ragazzi sulla diffusione della criminalità organizzata su tutto il territorio nazionale, anche nella nostra regione, alla luce dell’allarme lanciato dalla stessa Procura della Repubblica di Trento che ha di recente firmato con la Guardia di Finanza e l’Università di Trento un protocollo d’intesa sulla sicurezza.
Un primo incontro introduttivo è avvenuto il 19 marzo scorso presso il nostro Liceo tra gli alunni delle classi quarte FR e GR ed alcune volontarie dell’Associazione Libera che hanno voluto sensibilizzare sul fenomeno mafioso e sulle molteplici sfaccettature delle sue manifestazioni, sottolineando l’importanza di considerarlo attuale e vicino a noi più di quanto si è soliti immaginare – nonostante le associazioni mafiose siano nate in territori del Sud Italia.

Sono poi seguiti altri appuntamenti fuori sede: questa volta proprio tra Napoli e Caserta.
Il 27 e 28 marzo scorsi – primi due giorni del viaggio d’istruzione in Campania – sono stati infatti occasione per conoscere da vicino ambienti ed esperienze di numerosi rappresentanti di altre associazioni che di Libera condividono gli ideali, e che operano per far sì che la memoria del “bene” sacrificato al “male” non si fossilizzi in un sentimento nostalgico, ma ispiri le azioni di una comunità locale, inducendola a invertire la rotta, a riprendersi dignità e diritti, a lottare sullo stesso terreno del nemico ma in modo diverso, produttivo e socialmente utile.

I luoghi visitati dai nostri alunni assieme alle insegnanti promotrici del progetto in questione (Graziola, Parlà e Pascotto) e le persone incontrate sono rispettivamente teatro e attori di una sfida ancora in corso e non facile da realizzare, iniziata e portata avanti da persone comuni, soprattutto giovani, volta a riscattare i torti subìti dai loro nonni o padri e a riaffermare una coscienza collettiva diffusa, basata sul lavoro onesto e su una convivenza pacifica e solidale.
Tappe del nostro itinerario in Campania sono state nell’ordine:
- la Masseria di Afragòla, intitolata ad Esposito Ferraioli, cuoco della mensa dell’azienda FATME a Pagani, freddato sotto casa nel 1978 da una scarica di colpi di lupara per mano della criminalità organizzata perché, come sindacalista, aveva indagato – tra l’altro – sull’uso di carne di provenienza sospetta all’interno della mensa. La struttura è un bene confiscato alla camorra e assegnato ufficialmente il 1° marzo 2017 a un’associazione temporanea di scopo (ATS), che riunisce più soggetti operanti su fronti differenti, vincitrice di un bando emesso dal Comune di Afragola già nell’estate del 2015 (a dimostrazione del fatto che gli iter burocratici sono ancora lenti e complicati).


Dopo oltre vent’anni di abbandono, incuria e occupazione abusiva da parte di persone legate ai clan camorristici, il cammino non è certo in discesa. Ma gli obiettivi del progetto sono chiari e condivisi: ristrutturare lo stabile, avviare una filiera agricola, realizzare un agriturismo e un laboratorio di trasformazione dei prodotti; favorire l’inserimento lavorativo delle donne vittime di violenza, allestire aree verdi e frutteti, avviare attività con le scuole ecc. Durante i campi estivi promossi da Libera si affrontano tematiche come il caporalato e la violenza di genere; mentre nell’ambito di un percorso narrativo-didattico, tra i filari intitolati alle vittime innocenti della camorra, s’insegna ai bambini non solo il recupero del patrimonio agricolo, ma anche il valore di uomini e donne che sono morti in nome della “resistenza contro la violenza”.
- Il Fondo agricolo dedicato a Nicola Nappo (Scafàti, Salerno), giovane 24enne ucciso nel 2009 all’uscita di un bar a Poggiomarino, la cui unica colpa è stata quella di assomigliare a un affiliato del clan Fabbroncino che doveva essere eliminato per vendetta.


Il fondo con i suoi piccoli stabili si estende su una superficie di 12 ettari ed è situato nell’Agro nocerino-sarnese. Confiscato al clan camorristico Galasso (protagonista delle guerre di Camorra negli anni Ottanta) e messo a bando pubblico dal Comune nel 2016, è arrivato ad assegnazione nell’agosto del 2017 all’associazione temporanea di scopo (ATS) “Terra Viva”che riunisce tre associazioni, una agricola, una culturale e una di microcredito etico.
La destinazione futura è duplice: riuso produttivo, attraverso la costituzione di una cooperativa di giovani che coltiveranno prodotti locali tipici DOP (pomodori San Marzano e Cipollotto Nocerino) e riuso sociale, attraverso la realizzazione di orti urbani (già 70 sono quelli messi in opera in soli sei mesi). Cittadini, associazioni, gruppi informali, scuole, parrocchie ecc. possono chiedere di coltivare un orto per autoconsumo, col solo vincolo di condividere 1/10 del raccolto e destinarlo a gruppi d’acquisto solidale.
Pensiero di fondo è che il maltolto debba essere restituito a coloro che in passato (30 anni fa) hanno dovuto subire i soprusi dei clan camorristici, svendendo forzatamente a questi (o addirittura talvolta cedendo a loro senza nulla in cambio) i propri piccoli appezzamenti, indispensabili per l’auto-sostegno familiare.
Il riuso rappresenta da un lato, una sorta di riscatto da parte dei contadini più anziani che sono sopravvissuti a questa barbarie, pagando sulla propria pelle tale resistenza (in termini di macchine bruciate e violenze di vario tipo) e, dall’altro, un’occasione di lavoro per molti ragazzi in una terra dove c’è il 53% di disoccupazione giovanile.
Chi ci parla con orgoglio e determinazione di questi progetti è una ragazza del luogo. Portandoci la testimonianza propria e della sua famiglia, insiste sulla necessità di ridare i beni confiscati ai legittimi ex-proprietari o a chi ne ha diritto, senza cedere alla tentazione – di recente ventilata dalle autorità – di metterli in vendita al miglior offerente, col rischio che ricadano nelle mani di criminali facoltosi che hanno già torteggiato in passato un’intera comunità.
- La maestosa Villa intitolata alla memoria del sindacalista Franco Imposimato, a Pignataro Maggiore (Caserta), è sede dal 2017 di una struttura gestita dalla cooperativa sociale “Apeiron”. Il bene è stato confiscato al sanguinario boss-pentito della camorra pignatarese, Antonio Abbate, appartenente prima alla “cosca calena” dei Lubrano-Nuvoletta-Ligato e successivamente alleatosi con l’egemone “clan casalesi”. Imposimato fu vittima nel 1983 di una vendetta trasversale decisa dalla “Banda della Magliana” di Roma, con la complicità della camorra e di “Cosa Nostra” per intimidire il fratello, Ferdinando Imposimato, giudice istruttore a Roma e bersaglio troppo difficile da colpire che seguiva diversi processi di mafia e stava indagando sulla suddetta Banda, avvicinandosi a verità scomode.
La villa sarà destinata a un centro di formazione e ad un Bed & Breakfast per il turismo sostenibile. I nostri ragazzi hanno potuto vedere da vicino anche i due bunker rinvenuti durante i lavori di ristrutturazione della villa. Proprio nelle campagne isolate dell’Agro Caleno si sono nascosti infatti latitanti eccellenti, come Salvatore “Totò” Riina, Bernardo Provenzano, Luciano Liggio e Michele Greco.

All’esterno di questa villa confiscata spicca un murales dedicato a Vittorio Arrigoni – giovane attivista per la pace ucciso in Palestina il 15 aprile 2011 – che mette in primo piano la scritta “Restiamo umani”.

A questo proposito, il presidente della cooperativa Apeiron, ente gestore del progetto Sprar (il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo) ha invitato a riflettere sull’importanza della solidarietà civile e dell’accoglienza, nonché sul rispetto dei diritti umani a cui richiama espressamente anche la nostra Costituzione.
- Il museo di Casa don Peppe Diana di Casal di Principe è una struttura di alto valore simbolico. Istituita presso l’ex villa confiscata nel ’98 al boss Egidio Coppola e assegnata all’Asl Campana, è tornata successivamente nelle mani del Comune di Casal di Principe, che l’ha messa a bando pubblico, vinto dal Comitato Diana con il progetto F.U.C.IN.A – acronimo di “Formazione Umana, Comunicazione, Innovazione, Ambiente” – che si è stabilito nel 2015 nella nuova sede.

Anche don Peppe Diana è un simbolo di coraggio e riscatto. Per aver denunciato il coinvolgimento e la connivenza delle persone, anche quelle “per bene” e “di chiesa”, e per la sua lotta contro la criminalità locale è stato ucciso dalla camorra il 19 marzo del 1994 nella sacrestia della chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe, mentre si accingeva a celebrare la Santa Messa. Il suo impegno e la sua scomparsa hanno scosso fortemente la sua gente. Molti, da allora, hanno deciso di rompere il silenzio ed esporsi; di parlare e di fare. È stata una vera svolta, perché in un territorio depresso dal punto di vista economico e con scarse fonti di sostentamento breve è il passo compiuto da molti ragazzi per trovare un’alternativa che dia loro un guadagno semplice e veloce.
Il comitato è un’associazione di secondo livello: la rete di cittadini, associazioni, scuole, università, enti privati ed aziende del posto che vi ruotano attorno in qualità di soci promuovono prevenzione e legalità, esperimenti di cooperazione tra giovani per avviarli al lavoro con iniziative ecosostenibili, contratti trasparenti e legali, anche attraverso il riutilizzo sociale di terre e beni confiscati, valorizzando e tutelando ambienti e prodotti locali, e spesso coinvolgendo persone disagiate.
Il Comitato si contraddistingue inoltre per la sua progettualità continua: è un laboratorio d’idee e attività volte a seminare e costruire speranza.
Il museo di Casa don Diana accoglie due mostre: “Non invano” e “Io resisto”. La prima consiste in un’esposizione di foto delle vittime della criminalità organizzata riconosciute ufficialmente in Campania. Lo scopo è quello di dare un volto e un nome, e quindi memoria, a chi è stato vittima involontaria di fatti criminali. La seconda presenta foto di persone che quotidianamente s’impegnano per la lotta alla criminalità. Tra queste c’è un piccolo specchio che consente al visitatore di riconoscere anche se stesso tra queste persone.

Durante queste due giornate i pranzi sono stati consumati presso strutture confiscate a gruppi criminali del luogo, recuperate da associazioni onlus o cooperative sociali e trasformate in centri polifunzionali. Oggi offrono sia attività di rieducazione a famiglie ai margini della società che opportunità di aggregazione e apprendimento a minori culturalmente deprivati, come l’Onlus Figli in Famiglia; oppure servizi di ristorazione, come la cooperativa NCO – “Nuova Cucina Organizzata” di Casal di Principe che, riprendendo ironicamente l’acronimo della “Nuova Camorra Organizzata” degli anni ’80 in Campania, ha voluto lanciare una sfida non tanto ai clan quanto al territorio. Nonostante le minacce e le intimidazioni ricevute e la burocrazia che favorisce lo sviluppo della corruzione e del sistema criminale, confondendo i diritti con i favori del camorrista di turno, il ristorante prosegue la sua attività iniziata più di dieci anni fa, basata su filiere produttive pensate per generare inclusione attraverso percorsi terapeutici, riabitativi e di salute mentale per persone svantaggiate o, più in generale, a rischio di emarginazione come minori, persone con disagio psichico, ex detenuti ed ex tossicodipendenti, offrendo loro occasioni di lavoro dignitoso e lecito.
Gli operatori e i volontari coinvolti in questi progetti, con la loro genuina e diretta testimonianza, sono riusciti a trasmettere a tutti noi, in modo molto efficace ed emotivamente toccante, il valore del loro operare quotidiano con la gente del territorio.


In conclusione, vale la pena sottolineare che le destinazioni d’uso oggi promosse in tutti i luoghi da noi visitati sono frutto di assemblee e incontri pubblici, finalizzati alla raccolta d’idee condivise su vari progetti.
Chi voleva lucrare o speculare sui beni confiscati è stato estromesso. Chi oggi partecipa ai progetti ne ha scritto le regole, ma deve anche esserne garante.
Per troppo tempo gli abitanti di questi luoghi sono cresciuti con l’idea che se uno infrange le regole, anche l’altro possa sentirsi autorizzato a farlo. La sfida oggi è invertire questa tendenza con un rinnovamento mentale e culturale, basato non sulla forza ma sul dialogo, come strumento per far comprendere il valore della correzione.
Il cammino è ancora lungo: c’è bisogno di organizzazione e programmazione di lungo periodo, per evitare soluzioni spot o emergenziali, perché la cultura della legalità va professata concretamente e di continuo; non semplicemente dichiarata.
Dispetti e soprusi insidiano e non sono ancora scongiurati, ma chi crede in questi progetti non si arrende. Anzi. Prosegue con perseveranza e convinzione. Non dimentica. Fa tesoro e divulga le esperienze vissute sulla propria pelle, per mettere in guardia e non lasciare sprovveduti coloro che invece si trovano ad affrontare oggi realtà mafiose diverse, più affinate e diffuse in altri campi e in altri luoghi.
Occorre accortezza e sensibilità perché la criminalità organizzata e le mafie non sono fenomeni solo del Sud. Hanno subìto una metamorfosi qualitativa. Si parla oggi di mafie “liquide”: sono quelle che vanno intaccando in modo subdolo e silenzioso diversi segmenti dell’economia, dell’imprenditoria, della finanza e della politica locale regionale del settentrione italiano, ma di cui l’opinione pubblica ha scarsa consapevolezza, ancora troppo convinta che la criminalità al Nord sia essenzialmente quella comune, fatta di scippi, rapine e furti d’appartamento.
Il breve viaggio nei territori tradizionali di camorra ha avuto perciò lo scopo di conoscere, confrontarsi e iniziare a riflettere in modo informato e lucido su ciò che accade anche intorno e più vicino a noi, cogliendo i suggerimenti di chi può darli per esperienza vissuta. Guardare insieme al passato è il primo passo per cercare soluzioni condivise per il futuro.
Se la memoria serve a fortificare, non deve tuttavia indurire, tantomeno alzare muri. L’unione “fa la forza”, motto questo che non passa mai di moda, perché rappresenta – assieme alla corretta informazione – la risposta più efficace all’isolamento e alla paura su cui fanno leva le organizzazioni criminali.
prof.ssa Sabrina Pascotto