L’EMERGENZA CORONAVIRUS, LA CHIUSURA DELLA SCUOLA E L’ESPERIENZA DELLA DIDATTICA A DISTANZA

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In questo momento il mondo intero sta affrontando un’emergenza sanitaria senza precedenti, una vera e propria pandemia sottovalutata per troppo tempo e causa di innumerevoli morti, che forse si sarebbero potute evitare se solo fossimo stati meno egoisti.

Tutto ha inizio in Cina, precisamente nella popolosa città di Wuhan, dove a dicembre dello scorso anno si verificano degli insoliti casi di polmonite, che si scoprirà poi essere proprio causati dal tristemente celebre Coronavirus, un virus del tutto sconosciuto dalle origini ancora incerte e con sintomi molto simili a quelli influenzali, che però possono essere del tutto assenti in alcuni individui oppure aggravarsi fino al raggiungimento di crisi respiratorie in altri. Le autorità cinesi esitano a dichiarare lo stato d’emergenza finchè la situazione si fa ingestibile e così si diffonde in tutto il mondo la notizia di questo nuovo, incombente pericolo, e insieme ad essa anche un’ondata di odio ingiustificato nei confronti dello stesso popolo.

In Europa iniziano presto a comparire i primi casi, per il momento ancora in numero basso e circoscritti, tuttavia rimane tanta la confusione tra la popolazione e i media; tutti si improvvisano infatti esperti medici e virologi e affermano con certezza le proprie teorie: chi lo considera al pari di una comune influenza, chi un rischio solo per i più anziani, specialmente con un quadro clinico già compromesso, ma sono ancora pochi quelli realmente allarmati dalla situazione. Inoltre iniziano a circolare ovunque le notizie più surreali riguardo alla nascita del virus, che variano da un esperimento di laboratorio finito male a un complotto del governo.

Inizialmente ero molto perplessa e scettica riguardo alla pericolosità del virus, anche perchè ero convinta che il tasso di mortalità, inferiore a quello dell’influenza, parlasse chiaro e pensavo quindi che nel giro di poche settimane nessuno ne avrebbe più parlato e tutto si sarebbe risolto nel migliore dei modi; così mi auguravo, ma non c’è bisogno di dire che le cose non andarono per nulla secondo i miei piani. Infatti tutto ad un tratto i contagi in Italia aumentarono esponenzialmente e il Bel Paese si trovò ad essere il luogo con più contagi al mondo dopo la Cina, arrivando a toccare i 10.000 casi dopo nemmeno un mese dal primo contagio.

La risposta della autorità italiane fu fortunatamente tempestiva, quella degli Italiani invece un po’ meno; infatti mentre il Governo si adoperava per fermare la diffusione del virus, attuando tutte le misure di contenimento possibili e imponendo la quarantena alle zone più affette e in particolare la regione della Lombardia, sulle strade si vedevano ancora tante, troppe persone incuranti del pericolo che stavano correndo e di quello che avrebbero potuto rappresentare per gli altri. Il vero pericolo del Coronavirus sta infatti nella sua altissima contagiosità e non tanto nella sua letalità, anche se nemmeno questo fattore è da trascurare, come dimostra il tragico numero di vittime di tutte le età che questo virus ha causato. Inoltre le apparecchiature per trattare i casi più gravi, come i ventilatori polmonari, i dispositivi di protezione del personale medico, i tamponi per testare la positività del virus e soprattutto lo spazio negli ospedali, soprattutto delle terapie intensive, si è rivelato da subito insufficiente per far fronte all’emergenza e proprio in questo sta la vera difficoltà: nell’assicurare a tutti le cure necessarie.

A questo punto iniziò anche a circolare l’ipotesi della chiusura delle scuole e infatti il decreto ufficiale che la confermava non tardò ad arrivare; così la sera del 4 marzo, il presidente del Consiglio Conte, schierato in prima linea nella lotta contro il Coronavirus, dichiara tutta l’Italia zona rossa e come anticipato la sospensione delle attività didattiche in tutta la penisola almeno fino a metà marzo. La decisione a parer mio fu assolutamente giusta e necessaria, anche se non riuscivo ancora a spiegarmi come la situazione fosse potuta degenerare in modo così precipitoso e tanto meno avrei immaginato di poter tornare sui banchi di scuola soltanto a settembre.

Ecco quindi che iniziò una nuovo prova per noi studenti come per i professori: la didattica a distanza; era impensabile infatti interrompere le lezioni e il programma scolastico finchè la situazione si fosse stabilizzata e quindi ci siamo dovuti affidare alle piattaforme online di videoconferenze. Inizialmente pensavo che non sarebbe cambiato molto dalle tipiche lezioni in classe e che sarebbe stato addirittura più facile e piacevole seguire le lezioni dal comfort di casa, ma dopo un mese dall’inizio di questa nuova esperienza posso dire con certezza di essermi sbagliata. I problemi tecnici e le interruzioni di segnale, che ormai non sono più una novità, rappresentano un vero ostacolo alla continuità dell’apprendimento e della concentrazione. Tuttavia la vera differenza e la cosa che più mi manca della scuola è il reale contatto con compagni e professori, anche se penso che questo stato di precarietà e questo approccio alla didattica abbia rafforzato molto il rapporto tra studenti e insegnanti e che vedere questi ultimi alle prese con la tecnologia ci abbia mostrato un nuovo lato più umano e amichevole di loro. Inoltre in questo periodo credo di aver imparato a lavorare ancora più in autonomia, requisito che andando avanti con gli anni diventerà sempre più fondamentale per lo studio, e soprattutto ho capito veramente che si impara solo per noi stessi e non tanto per i voti in pagella ma piuttosto per arricchire il nostro bagaglio culturale.

Sono stata poi molto contenta di come la mia scuola abbia gestito l’emergenza e del fatto che il dirigente si interessi costantemente dell’opinione e del riscontro dei suoi studenti, anche tramite questionari e sondaggi; ha ad esempio predisposto gli orari delle lezioni tenendo conto della difficoltà e dell’affaticamento che un tempo prolungato davanti a uno schermo può provocare e ha incoraggiato gli insegnanti a bilanciare il carico di lavoro e di compiti in modo da non creare ulteriori ansie ai ragazzi e lasciare loro del tempo da dedicare a se stessi e ad altre attività. Inoltre, nonostante la scuola online sia la migliore soluzione possibile in questo periodo, non si può negare che evidenzi ulteriormente il divario sociale dei diversi studenti e per questo molte scuole hanno dato la possibilità a chi ne avesse bisogno di prendere in dotazione un tablet, andando quindi incontro alle famiglie che magari non possono permettersi un dispositivo per ogni componente. Infatti anche la maggior parte degli adulti, dopo la chiusura di tutte le attività non essenziali, hanno dovuto mettersi alla prova con il cosiddetto Smart Working, ovvero una modalità di lavoro non vincolata da precisi orari o luoghi di lavoro e che prevede naturalmente l’utilizzo di dispositivi tecnologici.

Questa quarantena però, nonostante la paura e il dolore, ci ha regalato anche tante emozioni ed è riuscita a risvegliare un senso di unione e amore per il nostro Paese che non credevo esistesse più; sono state infatti tante le dimostrazioni di solidarietà e iniziative in aiuto alla protezione civile, alle strutture ospedaliere e a tutto il personale sanitario, partite sia dall’Italia che dall’estero. A questo riguardo non possiamo non soffermarci sullo spettacolo realizzato dagli Italiani che tutte le sere si danno appuntamento sui propri balconi per applaudire come ringraziamento i medici, gli infermieri e gli operatori sanitari per essere in questo momento più che mai la vera forza del Paese e per cantare le canzoni della tradizione italiana, in un tentativo di darci forza a vicenda e lasciarci andare a un momento di spensieratezza e speranza. Questo ha mostrato non solo a me ma al mondo intero un lato fino ad ora nascosto del nostro Paese e ci ha fatto sentire tutti fieri e parte del popolo italiano.

Adesso però vorrei soffermarmi su coloro che come ho già detto hanno permesso all’Italia di cominciare pian piano a rialzarsi, ovvero medici, infermieri, OSS, tecnici di laboratorio e addetti alle pulizie negli ospedali, nonché il personale delle forze dell’ordine e i Vigili del Fuoco. È a loro che dobbiamo un grazie speciale, a loro che tutti i giorni lavorano senza sosta e instancabilmente pur di farci uscire al più presto da questo incubo, rinunciando alla vicinanza con la propria famiglia e mettendo la loro stessa vita a rischio e che nonostante tutto sono stati i primi a darci la forza e la speranza per andare avanti. Inoltre penso che non vengano mai ringraziati abbastanza anche per aver aiutato nella lotta contro la disinformazione e le fake news, che ha rappresentato un vero problema soprattutto all’inizio dell’emergenza e di cui paghiamo le conseguenze tutt’oggi.

Ripensando a quel mercoledì di inizio marzo, in cui ritornammo a casa da scuola totalmente inconsapevoli di quello che avremmo dovuto affrontare in seguito, mi rendo conto di quante cose abbia dato per scontato fino ad ora: gli amici, la famiglia, la scuola e tutti i gesti della vita quotidiana che non avrei mai pensato di rimpiangere, come una semplice passeggiata. E poi c’è la salute ovviamente e solo il fatto che non conoscessi il significato della parola “pandemia” mi fa capire quanto sia fortunata sotto questo punto di vista.

Ci sono infine delle immagini che non potrò mai dimenticarmi, come la silenziosa processione dei camion militari che trasportano fuori da Bergamo le bare per cui non c’è più posto in città oppure i visi dei medici segnati dalla stanchezza e dai lividi provocati dalle mascherine dopo un turno di dieci ore di lavoro; ma non mi dimenticherò neanche delle immagini più positive, come quelle delle città costellate di bandiere tricolore e di arcobaleni disegnati dai bambini e accompagnati dalla scritta “Tutto andrà bene”.

In conclusione mi auguro che questa esperienza, oltre all’immensa sofferenza, ci lasci anche una grande lezione e ci faccia apprezzare di più la vita e tutti i piccoli gesti che la compongono.

Francesca

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Visto il particolare e per tutti nuovo periodo che ci troviamo a vivere a causa di COVID19 e considerato che comunque questi mesi sono tempo della nostra vita che vogliamo vivere da protagonisti nel bene e nel male, abbiamo proposto ai ragazzi di partecipare, con un contributo, a un “progettone” per realizzare una memoria collettiva degli studenti della nostra scuola. Si tratta nello specifico, di raccogliere riflessioni, poesie, racconti, componimenti e pure disegni, che raccontino le percezioni dei ragazzi, il loro vissuto in questo ormai lungo e inedito periodo.